TRIESTE – L’esperimento è partito già nei mesi scorsi, ma è da qualche giorno che alcuni lavoratori dell’Agenzia per il lavoro portuale (ex articolo 17 della legge sui porti) di Trieste stanno coprendo le esigenze di Adriafer, società dell’Authority diventata impresa ferroviaria.
La novità, cioè l’utilizzo del soggetto autorizzato a fornire lavoro temporaneo all’interno del porto al di fuori dei terminal, potrebbe aprire strade nuove sia i lavoratori che all’intero sistema degli operatori portuali.
«Dopo un’impegnativa fase di formazione – spiega l’amministratore delegato di Adriafer, Maurizio Cociancich – dal 3 gennaio abbiamo avuto i primi tre avviamenti al lavoro. Si tratta di personale dell’Alpt che utilizzeremo per i picchi di lavoro, quando le assenze per malattia, la copertura delle turnazioni o l’assenza per ferie dei nostri dipendenti richiedono un aiuto per le attività. Durante il percorso, i sindacati hanno svolto un ruolo positivo nella contrattazione di secondo livello».
Adriafer, partita come soggetto che si doveva occupare delle manovre interne allo scalo, è strettamente legata al lavoro portuale, così come ai ritmi del terminalisti, compresi i picchi di lavoro. Questa novità, quindi, segna l’apertura di una strada che potrebbe introdurre opportunità importanti nella pianificazione del lavoro nell’ambito dei servizi di interesse generale.
Il percorso è stato fin qui abbastanza impegnativo, perché le maestranze coinvolte, sette lavoratori in tutto, hanno dovuto seguire un corso di formazione. Al termine del periodo di apprendimento, risultano ora dotati delle necessarie competenze per fare i manovratori: formazione di treni, gestione degli scambi e altri interventi in coordinamento con i macchinisti.
Il percorso è frutto della concertazione tra lavoratori e Adriafer, che punta così a rendere più stabili i turni di lavoro e quindi a migliorare la vita dei propri dipendenti.
Nel frattempo, la programmazione dei turni è passata da 40 a 38 ore settimanali, eliminando gli straordinari di default. Il tutto, grazie alla contrattazione di secondo livello che sembra soddisfare i lavoratori. In Adriafer, società che si dava per spacciata e che conta ora attivi di bilancio e circa 130 dipendenti, lavorano per lo più giovani, tanto da fissare l’età media a 34 anni, con 5 anni di anzianità di servizio.

“Abbiamo sempre creduto che i lavoratori ex art. 17 legge 84/94, qui a Trieste declinata in ALPT (Agenzia per il Lavoro Portuale del Porto di Trieste), rappresentino la professionalità imprescindibile per dare continuità alle attività portuali: un insieme di orgoglio portuale e resistenza alla fatica e alle intemperie e contemporaneamente con quel contenuto di intelligenza, capacità e professionalità che hanno consentito a 7 lavoratori su 9 di superare prove di selezione psico-fisiche complesse, alla conoscenza teorica della movimentazione ferroviaria e di applicazione pratica di quelle conoscenze” si legge in una nota di Usb (Unione sindacale di base). Usb spiega anche che “… i lavoratori di ALPT non si pongono in contrapposizione a quelli di Adriafer: il loro avviamento è finalizzato a consentire una corretta programmazione della turnazione a garanzia del recupero psicofisico di tutti/e e per liberare risorse per aumentare la formazione dei lavoratori Adriafer e con essa la loro crescita professionale”.
Secondo la rappresentanza sindacale, questa operazione rappresenta un potenziamento del servizio che implementa l’efficienza generale della movimentazione portuale di Trieste. Il Porto di Trieste viene definito da Usb un “animale complesso”. Usb auspica un 2024 imperniato sul ragionamento di un modello portuale che coinvolga tutti i soggetti pubblici e privati su temi come l’organizzazione del lavoro e sui meccanismi salariali e di sicurezza. “La differenza di trattamenti e di sensibilità sulla sicurezza creano forti divari che devono essere colmati, anche alla luce della scadenza del mandato dell’attuale presidente, Zeno D’Agostino” conclude la nota.