TRIESTE – Il Consiglio di Stato ha confermato una precedente sentenza del Tar del Lazio che respingeva il ricorso dei maggiori operatori del porto di Trieste, contro quello che era ritenuto un aumento ingiustificato delle tasse portuali.
La vicenda è di vecchia data ma, al di là del merito, resta da notare che il Consiglio di Stato riconosce la specialità del Porto Franco internazionale di Trieste e in particolare di quell’Allegato VIII al Trattato di Pace di Parigi del 1947, mai completamente applicato.
Nel 2012 un decreto ministeriale di adeguamento delle tasse e dei diritti marittimi aveva stabilito nel 75% del tasso di inflazione la quota per i porti nazionali e del 100% per quello di Trieste. Al decreto si erano opposti Associazione Spedizionieri del Porto di Trieste, Confindustria Trieste, Associazione Agenti Marittimi del Friuli Venezia Giulia, SIOT, Trieste Marine Terminal, Samer & Co.Shippng, Francesco Parisi Casa di Spedizioni, Agenzie Marittime Riunite, Pecorini Silocaf, Santandrea, B.F.B. Casa di Spedizioni, Korman Italia, Tergestea Casa di Spedizioni e General Cargo Terminal. L’Autorità portuale di Trieste si era costituita in giudizio.
Il Tar del Lazio rigetta il ricorso nel marzo del 2014. In secondo grado il Consiglio di Stato ha, di fatto, confermato quanto stabilito dal Tar e respinto le tesi dei ricorrenti, che facevano riferimento, tra gli altri punti, anche ad una presunta incostituzionalità della norma; ma soprattutto alla particolare disciplina relativa al “porto franco” di Trieste e la violazione degli artt.5 e 9 dell’allegato VIII al Trattato di Pace del 1947 e dell’art. 6 del decreto del Commissario Generale del Governo per il territorio di Trieste n. 29/1959.
La differenza dell’adeguamento delle tasse e dei diritti marittimi (del 100% del tasso ufficiale di inflazione per Trieste e del 75% per gli altri porti) era dovuta ad un pregresso dimezzamento delle tasse per il porto di Trieste e della conseguente necessità di parificare la differenza.
Secondo il Consiglio di Stato, che riconosce nella sentenza quanto contenuto nel succitato Allegato VIII, le norme non vietano allo Stato di modificare la tassazione, prevedendo però una correlazione tra tasse e servizi prestati.
“… va rilevato che, seppure le norme richiamate hanno assegnato al porto di Trieste un particolare ruolo, le stesse non possono essere interpretate nel senso di precludere qualunque possibile adeguamento agli importi delle tasse e dei diritti marittimi in ragione dell’attualizzazione del tasso di inflazione. In linea generale, l’adeguamento risponde infatti, oltre che a ragioni di adeguatezza e proporzionalità, ad un principio di rango costituzionale – si legge nella sentenza – connesso al vincolo del pareggio di bilancio (cfr. artt. 81 e 97 Cost.), non potendo ammettersi una tassazione non ancorata all’attualità della situazione economica”.
In sostanza, sempre secondo il Consiglio di Stato, la modifica apportata non ha inciso sul titolo di pagamento, ma solo sull’adeguamento delle tasse portuali al tasso di inflazione, tra l’altro con un’applicazione graduale e dopo circa venti anni dalla loro istituzione. “Con la conseguenza che risulta rispettato il principio di cui gli artt. 5 e 9 dell’Allegato VIII del Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947 che prevedevano che nel porto di Trieste – recita ancora l’atto – non si potessero richiedere pagamenti che non fossero il corrispettivo di servizi prestati e la tariffa dovesse essere mantenuta ad un costo ragionevole ed essere in funzione del costo di funzionamento,
amministrazione, manutenzione e sviluppo”.
Così Stefano Visintin, presidente di Confetra FVG: «Il problema, al di là della sentenza nel suo particolare, è sempre quello emerso anche in altre circostanze. E’ lo Stato italiano a dover riconoscere, con norme proprie, i dettagli della specialità del Porto franco internazionale di Trieste. Insomma, bisogna che siamo noi stessi a far sì che ci possa essere l’applicazione effettiva di quanto previsto dal Trattato internazionale del 1947».