TRIESTE – Sembrava cosa fatta l’ipotesi di un laminatoio nei pressi del porto di Trieste, poi la retromarcia di Metinvest che però potrebbe confermare il proprio investimento nel Friuli Venezia Giulia.
A rivelarlo, a margine di un evento collegato al prestigioso istituto Malignani di Udine, è stato Gianpietro Benedetti, presidente del Gruppo Danieli di Buttrio. «Stanno esaminando i luoghi dove risorgere, hanno preso in considerazione la Bulgaria, abbiamo riproposto di riconsiderare il Friuli Venezia Giulia. Se non dovesse andare, noi stiamo già intavolando discorsi con altri imprenditori per sostituire la Metinvest» ha detto Benedetti ai microfoni della Rai regionale.
L’investimento che vedeva come partner proprio la Danieli di Buttrio, era stato pensato in un primo momento con sede a Muggia (Trieste), a ridosso del mare e in area gestita dall’Autorità portuale. Un laminatoio a freddo che potesse anche giovarsi delle risorse già previste per la bonifica dei terreni dal Fondo complementare al PNRR. Tiepida era stata, lo scorso anno, l’accoglienza da parte delle comunità locali. Poi la rinuncia a quel sito e l’ipotesi nei nei pressi di Duino (ex cartiera Burgo), sempre nelle vicinanze di Trieste.
Oggi l’area ipotizzata è quella dell’Aussa Corno, comprensorio industriale dove già opera Metinvest. Metinvest Trametal spa, parte della Metallurgical Division del Gruppo Metinvest, è infatti un’azienda che produce lamiere, con sede produttiva a San Giorgio di Nogaro (UD).
La vicinanza a Porto Nogaro sarebbe la discriminante per far pendere l’ago della bilancia sul Friuli. Va detto però, che le difficoltà per rendere adatto lo scalo ad ospitare navi più grosse (esigenza imprescindibile per un impianto da 6-800 milioni di euro), non sarebbero poche. Lo scalo, infatti, è limitato dall’accessibilità compromessa a causa dei fondali. Accessibilità che andrebbe ripristinata periodicamente con escavi regolari, ma che oggi è aggravata da una questione particolare.
Lo scalo marittimo, ritenuto fondamentale per l’industria friulana e i suoi traffici, è tutt’ora a operatività ridotta a causa di un’Ordinanza che limita il pescaggio a 5,5 metri. Nel febbraio del 2019, infatti, la nave “Joy H” battente bandiera del Belize, si incagliò sul fondale sabbioso nei pressi della boa foranea sul canale di ingresso di Porto Buso. Al momento, per effetto dell’incagliamento, è vigente l’Ordinanza di limitazione che che permette l’ingresso di navi di sole 4/5.000 tonnellate, a fronte di quelle da 8/10.000 tonnellate, più adatte alla tipologia di imprese del tessuto industriale che fa riferimento al porto. Confindustria udine aveva stimato che la situazione possa far perdere 1 milione di tonnellate l’anno di merce, a fronte di un volume di traffico che attualmente si aggira su 1,4 milioni di tonnellate.