TRIESTE – La chiusura definitiva dello stabilimento triestino di Wartsila costerà 100 milioni di Pil. Questo il risultato di uno studio presentato oggi da Cgil, Fiom e Fisac. sull’andamento economico finanziario dell’azienda.
Le perdite sono state calcolate in base al calcolo di imposte e Pil generato tra stabilimento, indotto, fornitori, visitatori e somministrati. Un impoverimento senza precedenti per il territorio.
«Credo sia evidente l’impatto sulla manifattura a Trieste. Da parte nostra era corretto fare un’operazione di verità, perché era uno stabilimento che andava bene. La produzione di motori è strategica e lo è anche dal punto di vista economico finanziario» ha detto il segretario generale della Cgil Trieste, Michele Piga. «Il concetto è che non ha senso chiudere. É una scelta politica» ha ribadito Marco Relli, segretario territoriale della Fiom.
Dall’analisi storica, è emerso che la redditività della società non ha subito contrazioni tali da giustificare una chiusura. La cifra potrebbe anche lievitare perché, come ha sottolineato Andrea Dean della segreteria Fisac Cgil: «I fornitori potrebbero misurare perdite di fatturato per 30-40 milioni di euro». «Eppure – ha spiegato Dean – Wartsila è una società solida, che ha chiuso in utile nonostante in periodo pandemico. Gli utili vengono riconosciuti alla capogruppo sotto forma di dividendi annui. Si evidenziano inoltre crediti di natura finanziaria verso la Corporation per oltre 116 milioni. È come se Wartsila Italia facesse da banca alla capogruppo».
I dati del documento fanno riferimento alla data del 31 dicembre 2021, mentre nei primi nove mesi dell’anno, Wartsila Group ha già annunciato un ottimo andamento dei conti, fatte salve le perdite per la guerra tra Ucraina e Russia e proprio quelle (75 milioni) legate alla fase di chiusura dello stabilimento di Trieste a Bagnoli della Rosandra.
Lo studio delle organizzazioni sindacali arriverà anche sul tavolo del Ministero dove si stanno trattando le ipotesi per il futuro dello stabilimento e quindi dei posti di lavoro che, considerando l’indotto e lepossibili ripercussioni non solo a Trieste ma anche sul resto del territorio nazionale, potrebbero arrivare fino a 1800 persone.