TRIESTE – Ieri il commento (“irricevibile”) del Piano di mitigazione per i licenziamenti presentato dall’azienda, oggi la doccia fredda del numero in aumento.
Si fa sempre più cupa l’aria attorno alla vertenza della Wartsila di Trieste dopo l’annuncio di metà luglio per la chiusura della produzione. Un comunicato stampa della Fiom (Federazione impiegati operai metallurgici) parla apertamente di 700 licenziamenti invece dei 451 annunciati. “Consideriamo irricevibile il cosiddetto piano di mitigazione inviato ieri, via email, dalla multinazionale Wartsila alle organizzazioni sindacali e alla Rsu. Anche con questo atto, nei fatti, Wartsila conferma i 700 licenziamenti e la completa dismissione delle attività produttive del sito di Trieste”, si legge nella nota stampa a firma Luca Trevisan, segretario nazionale Fiom-Cgil. L’organizzazione sindacale si dichiara indisponibile a discutere con la multinazionale “sotto il ricatto del licenziamento di centinaia di lavoratori e lavoratrici” e per questo continua a chiedere il ritiro della procedura come condizione per avviare un eventuale confronto. “In questo senso, per annullare i licenziamenti e far condannare Wartsila per condotta antisindacale, daremo battaglia il 14 settembre prossimo anche in Tribunale a Trieste” prosegue la Fiom. “Al governo poniamo due questioni: di essere conseguente con gli impegni presi al Mise modificando con effetto retroattivo la legge di contrasto alle delocalizzazioni e di avviare da subito interlocuzioni con aziende e gruppi, a partire da quelli pubblici, per garantire, con o senza la multinazionale Wartsila, la continuità produttiva e occupazionale del sito di Trieste” conclude Trevisan.
A microfoni spenti, anche le rappresentanze sindacali locali confermano un evidente pessimismo: «Ma si è mai vista una fabbrica senza gli operai?» chiede retoricamente un sindacalista triestino. Come era facile intuire e ribadendo le numerose voci che si rincorrevano da mesi, ora l’attenzione si concentra ancor di più sulle reali intenzioni dell’azienda, che nel Piano di mitigazione spiega in maniera più dettagliata il coinvolgimento delle realtà correlate alla produzione e all’allestimento dei motori. Per fare un esempio pratico, c’è già chi si chiede che fine faranno le strutture della “sala prove” e della cinquantina di addetti, se non ci saranno più motori da provare.
Una ulteriore conferma del peggioramento del clima arriva anche dalla capogruppo alla Camera del PD, Debora Serracchiani, già presidente della Regione FVG: «Il piano di mitigazione è l’ultimo schiaffo alla logica del confronto che è stata tentata in tutti i modi dalle Istituzioni. La multinazionale ha scelto la contrapposizione dura e dannosa, con condizioni che certificano oggettivamente lo smantellamento del sito produttivo e la dispersione delle competenze professionali delle maestranze: un danno strategico per l’Italia. La nostra postura nelle sedi istituzionali non potrà che essere uguale e contraria a questo colpo di mano».