TRIESTE – Operatori portuali, lavoratori e Authority chiedono il riconoscimento dell’extradoganalità territoriale per insediare industrie manifatturiere sul territorio.
E’ questo quanto emerso in questi giorni dopo l’approvazione, da parte della Commissione politiche dell’Unione europea del Senato italiano, di una risoluzione che informi la Commissione Ue degli errori nell’inserimento delle liste relative alle zone franche, del Porto di Trieste. La notizia ha acceso in questi giorni un dibattito a livello locale, coinvolgendo tutti gli stakholder del territorio.
I vantaggi per il tessuto industriale (a Trieste sotto la media nazionale per valore del Pil prodotto) si evincono da una lettera che il senatore Tommaso Nannicini ha inviato alla presidente del Senato, Elisabetta Casellati, proprio in merito alla risoluzione.
All’interno del documento, richiamate le ragioni storiche e politiche di istituzione del Porto Franco di Trieste, si spiega che l’extraterritorialità doganale dello scalo, a differenza del suo attuale regime di zona franca europea, consentirebbe la lavorazione industriale di semilavorati o materie prime importate in esenzione dal dazio e dall’IVA. Quindi la produzione di beni con origine “europea” o “Made in Italy” (in base alla regola doganale del luogo dell’ultima trasformazione sostanziale) e la loro esportazione a Paesi terzi in esenzione dalle imposte doganali. Il tutto con un evidente vantaggio economico per il Paese terzo importatore, “… nonché come volano per lo sviluppo dell’economia industriale e dei servizi del territorio di Trieste e per l’intero Paese, e come prestigio per un porto a forte vocazione interazionale con un bacino di utenza che si stende su tutta l’area dell’Europa centrale”.
Non si parla peraltro di riduzione di imposte dirette, ma di differenze sui dazi. “Il regime di lavorazione industriale delle merci provenienti dallo Stato estero non genererebbe un minor introito di risorse proprie dell’Unione europea, né minori dazi o IVA all’importazione per lo Stato, in quanto tale genere di lavorazioni, qualora venissero effettuate sul territorio unionale nella procedura ordinaria del perfezionamento attivo, comunque non genererebbero un dazio, poiché lo stesso verrebbe sospeso fino all’ottenimento del prodotto finito e che, qualora il prodotto finito venisse destinato ad un Paese terzo, il dazio stesso non verrebbe mai assolto” si legge nella lettera.
Qualora il prodotto finito, ottenuto dalla lavorazione delle merci estere nel porto franco doganale, venisse introdotto in consumo nel territorio doganale dell’Unione europea, le materie prime immesse in produzione o il prodotto finito stesso verrebbero assoggettati a dazio ed IVA al pari di altri prodotti importati da Paesi terzi; così come il prodotto finito di una lavorazione effettuata sul territorio doganale unionale con perfezionamento attivo verrebbe assoggettato a dazio ed IVA.
L’obiettivo, dunque, è quello di portare ad una maggiore industrializzazione del territorio, con vantaggi per tutta la regione Friuli Venezia Giulia, anche per contrastare prevedibili perdite di posti di lavoro causate da processi di automazione o dalla crescente produttività.