TRIESTE – Le nuove barriere commerciali e il ritorno del protezionismo stanno cambiando il volto dello shipping globale. Guerre, dazi e tensioni internazionali spingono le catene di approvvigionamento verso una riorganizzazione profonda, aprendo la strada a rotte alternative e regionalizzazione degli scambi. In questo scenario, il Mediterraneo si ritrova al centro dei giochi, con porti sempre più strategici e un ruolo crescente del trasporto marittimo a corto raggio.

Sono questi i concetti principali contenuti nel nuovo Rapporto 2025 “Italian Maritime Economy”, presentato ieri a Napoli da SRM, centro studi di Intesa San Paolo.
Nel 2024 il commercio via mare è cresciuto del 2,1%, raggiungendo 12,6 miliardi di tonnellate. Le previsioni per i prossimi anni restano caute ma positive, nonostante l’incertezza economica globale. A trainare la ripresa è anche il Mediterraneo, che ha movimentato 62 milioni di TEU (+5,1%), dimostrando una forte capacità di adattamento di fronte al ridisegno delle rotte internazionali.
L’Italia emerge come primo Paese europeo per short sea shipping, con 302 milioni di tonnellate movimentate su un totale di quasi 628 milioni a livello mediterraneo. Una leadership che riflette l’efficienza dei collegamenti a corto raggio e il dinamismo degli scali italiani.

Il Canale di Suez, colpito dalle crisi del Mar Rosso, ha visto una drastica riduzione dei passaggi: -18% nei primi cinque mesi del 2025 rispetto all’anno precedente, e addirittura -70% rispetto al 2023. Tuttavia, secondo il report SRM, alcune compagnie stanno gradualmente tornando a utilizzare la rotta, segnale di un possibile riequilibrio.
Intanto si rafforzano nuove direttrici di traffico. Il corridoio Imec – la cosiddetta “Via del Cotone” – promosso dagli Stati Uniti come alternativa alla Via della Seta cinese, potrebbe intercettare fino a 200 miliardi di euro di scambi tra India, Medio Oriente e Europa. Una risposta diretta al disaccoppiamento tra le principali economie mondiali, che alimenta la crescita delle rotte regionali e riduce la dipendenza dai grandi hub asiatici.

Gli effetti di questo rimescolamento sono già evidenti: la Cina – sostiene ancora SRM – ha perso il primato di primo esportatore verso gli USA dopo 17 anni, superata dal Messico. L’import cinese negli Stati Uniti è calato del 9% nell’ultimo decennio, segnando un cambio strutturale nei flussi commerciali globali.
Nel frattempo, i porti si trasformano anche sul fronte energetico. Sempre più spesso diventano snodi fondamentali per le infrastrutture legate alla transizione ecologica: terminali per pipeline, centri logistici per carburanti alternativi e poli per le rinnovabili. Il GNL resta la scelta principale tra gli armatori (36,8%), ma si registra un aumento dell’uso del metanolo.

L’Italia, con un rapporto tra export+import e PIL del 54,3%, è tra le economie più aperte al mondo. Gli Stati Uniti sono il nostro primo mercato per l’export e il secondo per l’import, dopo la Cina. I porti italiani, in questo contesto, tengono il passo: 481 milioni di tonnellate di merci movimentate nel 2024 (+0,7%), con ottime performance nei container (11,7 milioni di TEU, +6,5%).
Per affrontare le sfide future, sarà decisivo investire su modelli logistici integrati e sostenibili. Il DEF 2025 prevede 12,5 miliardi di euro per l’intermodalità e l’innovazione nei porti: una spinta necessaria per garantire competitività e attrarre nuovi traffici nel nuovo scenario del commercio mondiale.